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Cosa fare e cosa non fare per educare alla lettura i bambini

Le scrittrici e gli scrittori di Icwa in poche, semplici frasi, riassumono le buone pratiche della promozione della lettura. Tra gli errori da evitare: chiedere schede di comprensione, offrire un solo libro da leggere, fare prediche sul fatto che la lettura aiuta a scrivere bene. Tra le buone pratiche: raccontare le emozioni che ci suscita […]

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La scienza nell’opera di Gianni Rodari

di Chiara Valentina Segré
Ai bambini di oggi, astronauti di domani
In questa breve, quasi lapidaria dedica che Gianni Rodari inserisce ne Il pianeta degli alberi di Natale, è racchiuso il “manifesto scientifico” che possiamo trovare in tutta la sua produzione. Sul maestro di Omegna si è detto e scritto, doverosamente, di tutto. Meno noto, però, pur con eccellenti eccezioni (si veda il libro di Pietro Greco L’Universo a Dondolo, la scienza nell’opera di Gianni Rodari, Springer 2010), è il rapporto con la scienza e la tecnologia, estremamente pervasiva in tutta la produzione rodariana. Il motivo? Non è una dichiarazione d’amore esplicita, quella di Gianni Rodari per la scienza e la tecnologia, ma discreta, dosata, mai (volutamente) didattica o divulgativa, e proprio per questo fortemente ” educativa” in senso scientifico.
La forza rivoluzionaria dell’impresa letteraria di Gianni Rodari è stata quella di aver calato il mondo reale, contemporaneo e quotidiano, nelle sue storie. Rodari impiega le favole e le filastrocche, antichi ed efficaci strumenti di conoscenza del mondo, per interpretare la contemporaneità dei suoi giovani lettori, senza gli intenti moraleggianti e didattici di una certa tradizione della letteratura infantile.

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Applicazione pratiche dalla Grammatica della fantasia di Rodari

di Daniela Dose
La “Grammatica della fantasia” di Gianni Rodari offre innumerevoli spunti per la didattica e per attività da svolgere con i bambini, in classe e non. Io vorrei evidenziarne soprattutto una. Si intitola “Il sasso nello stagno”, ed è una delle prime riflessioni che si trovano nel testo di Rodari. La parola viene paragonata ad un sasso che, se viene gettato in uno stagno, provoca onde concentriche, se poi va a fondo (e qui il parallelismo continua) smuove, scopre, crea eventi.
La parola che viene evocata provoca nella mente analogie, ricordi, immagini, significati, e va a recuperare questi significati nella fantasia, nei ricordi, anche nell’inconscio. Viene in mente il discorso freudiano sull’utilizzo delle parole per creare analogie, ma qui lo scopo è ludico e creativo.
La parola stessa “sasso” può portare a diverse associazioni, o giochi linguistici. Ad esempio cambiando la a –in- e, si avranno altre parole: cerchiamole assieme a Rodari.
Raccontiamo cosa ci ricorda il sasso inteso come oggetto: un luogo, una chiesa, un monte? E i sinonimi? Vogliamo tralasciarli? Certo che no. Ad esempio mattone. Cerchiamo le parole che dal punto di vista fonico si accoppiano: mattone e canzone. Ma l’esplorazione della parola sasso, ci ricorda Rodari, può continuare. Se scriviamo le lettere della parola una sotto l’altra e a ogni lettera accoppiamo una parola, ne nasce una filastrocca. E il gioco si può ripetere.
Le parole pertanto sono come le “madeleine” (dolcetti) di Proust: i loro significato, il suono, la forma, possono evocare ricordi e associazioni. Aprire la fantasia e il pensiero. Questi “sassi nello stagno” aiutano a sviluppare la creatività, ma anche la capacità cognitiva e linguistica del bambino. Sono tappe miliari nel percorso formativo e di apprendimento, ma Rodari ci insegna e ci ricorda una grandissima lezione: questo gioco deve servire ai bambini, non servirsi di loro. La priorità è il bambino, la sua crescita, la sua felicità.

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Io, amico di Rodari: che divertenti le nostre chiacchierate

Lo scrittore Ermanno Detti ricorda i suoi incontri con Rodari, quando entrambi lavoravamo a Paese sera e l’Unità, e quando l’autore premio Andersen fece un incontro con la classe di Detti. «Fu un’esperienza fantastica»
di Ermanno Detti
Ho conosciuto Gianni mentre lavoravo saltuariamente come correttore di bozze per “Paese Sera” e “l’Unità” ai primissimi anni Settanta. Lui era stato giornalista dell’“Unità” ma da tempo era passato a “Paese Sera” dove teneva la rubrica “Benelux” nella quale commentava fatti di cronaca, culturali e politici. Io insegnavo nella scuola elementare e avevo conosciuto le opere di Gianni, tra l’altro avevo letto a puntate ai miei alunni Gelsomino nel paese dei bugiardi e siccome si erano molto divertiti gliene parlai e lo invitai a venire a trovarci in classe. La mia scuola non distava molto dalla sede di “Paese Sera “ e “l’Unità” (avevano redazione e stampa nello stesso edificio) che era situata nel quartiere romano di San Lorenzo.
L’incontro di Gianni con i miei alunni fu una folgorazione. Non si di dilungò molto sul suo libro ma alla domanda di un bambino “Come si fa inventare una storia” usò il binomio fantastico, due parole scelte a caso dagli alunni stessi. Ne nacque prima una e poi una seconda storia e infine una terza ma con una tecnica diversa, quella del “Se accadesse che” e l’ipotesi fantastica proposta da un bambino fu se la scuola fosse stata rubata da Diabolik e fatta volare via. Il divertimento fu assicurato da parte dei bambini e per me una rivelazione.
Finito l’incontro accompagnai con la mia Fiat 500 Gianni a Monteverde, dove abitava. Io non potei trattenermi dal mostrarmi riconoscente per aver portato tanta allegria nella mia classe e lui mi spiegò che stava pensando di mettere insieme tutte quelle idee che gli venivano incontrando i ragazzi. La Grammatica della fantasia era ancora lontana (fu pubblicata nel novembre 1973) ma lui già la stava. Il breve viaggio fu uno spasso, cominciando dal fatto che per un paio di volte Gianni mi chiese se avevo una sigaretta e io, siccome non fumavo, gli rispondevo di no. E lui di rimbalzo: “Meno male”. La seconda volta però, ricordandosi di avermelo già chiesto, mi spiegò che stava tentando di smettere di fumare ma all’improvviso gli veniva una voglia matta, così si era ridotto a chiedere qua e là sigarette. “Oggi mi è andata bene, anche in redazione nessuno fumava” mi spiegò e sorrise di sé stesso.

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Intervista al professor Pino Boero, suo massimo studioso: «Se Rodari vivesse la nostra epoca racconterebbe le sue favole su skype e youtube»

di Carla Colmegna
Gianni Rodari visto dalla matita di Elena Martini
Giovannino Perdigiorno e Alice Cascherina stavano nascosti nel filo di un telefono. Da un capo c’era un papà sempre in giro per lavoro, dall’altro la figlia che, a casa, aspettava ogni sera di ascoltare le favole che lui inventava per lei. Era il loro modo per sentirsi vicini, visto che non si potevano vedere spesso.
Accadeva 58 anni fa al ragionier Bianchi di Varese e a sua figlia, protagonisti del libro “Favole al telefono” di Gianni Rodari pubblicato, per la prima volta, nel 1962. A cento anni dalla nascita di Rodari, nato a Omegna il 23 ottobre 1920 e morto il 14 aprile del 1980, le sue “Favole al telefono” sono straordinariamente attuali, sembrano scritte apposta per essere lette in questo periodo di distanza forzata gli uni dagli altri e progenitrici delle favole che oggi tanti leggono su siti o al telefono; è stato anche attivato il servizio “Pronto, chi favola”, voluto dall’attore e regista Francesco Zecca che ha coinvolto grossi nomi del cinema italiano.

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Gianni Rodari, un autore “fantastico”

IMMAGINARI DI LIBERTÀ. GIANNI RODARI E IL DIRITTO DEI BAMBINI ALLA CREATIVITÀ
di Cristina Bartoli
A 100 dalla nascita di Gianni Rodari, tanti sono gli articoli, gli incontri, i convegni a lui dedicati. Molto si è scritto su questo grande intellettuale, scrittore, maestro, giornalista impegnato, un uomo che ha attraversato varie fasi della vita che hanno contribuito a renderlo ciò che conosciamo oggi. Un uomo, che ha avuto momenti di particolare impegno politico, momenti di delusione e crisi personale, un uomo che sapeva leggere la società.
Il Rodari giornalista, “l’altro Rodari”[1], si rivolgeva a pubblici diversi, intellettuali, genitori, adulti, politici, ma sempre con un messaggio comune, teso verso la ricerca di una nuova umanità, aperta al progresso, alla creatività, alla lotta verso le ingiustizie e i soprusi, alla ricerca della pace e dei valori umani più alti. Di questo vorremmo parlare oggi, della sua grande attenzione alla dimensione umana, al rispetto profondo che egli aveva per l’infanzia e la produzione di significato dei bambini, “una vita dedicata al giornalismo, quella di Rodari, e Rodari, attraverso questa esperienza, coltiva e sviluppa la sua curiosità intellettuale, sociale, umana”[2]. Rodari giornalista diventato scrittore per l’infanzia quasi per caso, come sottolineò Argilli[3], ebbe i suoi primi successi proprio dalla carta stampata, un collage di pezzi giornalistici, a iniziare dalle filastrocche pubblicate su “l’Unità” e su “Vie Nuove” che dettero vita al primo “libretto”, Il libro delle filastrocche (1950), nato da un’idea di Dina Rinaldi che diresse con lui Il Pioniere. Dal settimanale, nacque anche il personaggio di Cipollino all’origine di una delle sue opere più famose (Il romanzo di Cipollino 1951) [4] .

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Quando i bambini parlano e leggono in più lingue

Spunti semiseri di riflessione per una maggiore diffusione all’estero di libri in lingua italiana per bambini e ragazzi da parte di una mamma italiana che cresce figli trilingue in Belgio
Sono un’emigrante.
O, se preferite, un’expat, termine che gli occidentali istruiti che vivono all’estero preferiscono utilizzare in quanto li legittima a considerarsi come una categoria a parte e più elevata di migrante. Vivo in Belgio. Un paese che conta undici milioni di anime, sette parlamenti e tre lingue ufficiali. Mio marito è inglese quindi, a breve, extra-comunitario. I miei figli vanno a scuola in francese, parlano italiano con me, inglese con il papà, francese con gli amici e imparano il fiammingo (olandese) perché, a conti fatti, sono belgi pure loro e gli tocca imparare almeno due delle tre lingue ufficiali del paese in cui sono nati e vivono.
I miei figli saltellano allegramente tra una lingua e l’altra creando neologismi “ingle-fra-taliani” la cui forza creativa trovo magnifica, ma la cui potenza distruttiva della mia lingua natale a volte mi terrorizza. Ho così avuto a che fare con un figlio che cercava disperatamente un acquaio sul tavolo credendo che fosse una caraffa o un contenitore simile. Un altro che voleva giocare nel “timo” (il team inglese + terminazione “O” all’italiana) di calcio della scuola. La porta di casa è “ouvrita” (ouvrir, verbo francese che significa aprire, al participio passato in italiano con suffisso “TA”), i “ticketti” sono biglietti francesi e se mio figlio non trova il quaderno di scuola allora mi dice: “Mamma, I do not find the cahier per la scuola”. E se perde la cartella allora “can you help a cercare le cartable?”.

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Da storia nasce storia, come un sasso nello stagno (di Elisa Vincenzi)

Come durante una lettura coi bambini, accogliere le loro suggestioni per creare altre storie.
Quando penso al flusso creativo e all’arte di scrivere, non posso fare a meno di citare il celebre esempio del sasso nello stagno, riportato dal grande Gianni Rodari nella sua Grammatica della fantasia.
Un sasso gettato nello stagno provoca delle onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo con diversi effetti tutto ciò che si trova nell’acqua.
Allo stesso modo, “una parola gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena” (da Grammatica della fantasia, G. Rodari, ed. Einaudi)
Una parola può quindi suscitare emozioni, sensazioni, ricordi, idee, immagini… che a loro volta danno vita a nuove parole.
Se una sola parola ha il meraviglioso potere di suscitare tante reazioni, che cosa può succedere quando “lanciamo” più parole nello stagno?
Che cosa succede quando raccontiamo una storia? Che cosa avviene quando uno scrittore incontra i suoi lettori? Nello specifico, che cosa accade quando un autore o un’autrice incontra un pubblico di bambine e bambini?
Un giorno in biblioteca, stavo leggendo a un gruppo di giovanissimi, le avventure di un bimbo che non aveva potuto indossare la sua felpa preferita, perché secondo la sua mamma era sporca.
Dal pubblico è arrivato immediatamente un commento ad alta voce: “È proprio quello che è successo a me stamattina! Volevo mettermi la felpa a righe ma mia mamma ha detto di no…”
Ovviamente questo intervento ha dato il via a una serie di questioni e considerazioni da parte degli altri bambini presenti.
Chi ha raccontato di quando non ha potuto mangiare tutta la cioccolata che voleva, chi di quando invece è riuscito a giocare a casa dell’amico o di che cosa è successo quella volta che con la bicicletta…
Di quel pomeriggio ricordo le strategie proposte ed escogitate, per poter aggirare i divieti degli adulti, e lo sguardo soddisfatto di chi aveva dato il proprio contributo a quelle nuove idee.
Qualche tempo dopo, in una scuola dell’infanzia, stavo invece raccontando di un elefante che avanzando lentamente con le sue grosse zampe, produceva tanti suoni, BUM bom BUM bam, modulando e variando il tono della voce durante la lettura.
Il commento di un bimbo di quattro anni è stato: “I suoni più piccoli forse sono dei bambini dell’elefante!”
Da questo spunto ne è nata una breve storia sui giochi preferiti che stavano facendo in quel momento i piccoli elefantini.

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ICWA dice NO all’editoria a pagamento

L’Associazione Italiana Scrittori per Ragazzi ha redatto un documento di opinione in cui afferma con decisione la sua posizione contraria all’editoria a pagamento, in tutte le sue forme. Lo scrittore è un professionista della filiera editoriale, un “produttore primario” di contenuti che spetta all’editore, attraverso la sua imprenditorialità, valorizzare e promuovere, se riconosce il valore […]

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NOI LA DIDATTICA A DISTANZA LA FACCIAMO COSÌ

Testi raccolti da Fulvia Degl’Innocenti
La testimonianza di cinque insegnanti soci ICWA su come hanno organizzato le lezioni dopo la chiusura delle scuole.
Le scuole di ogni ordine e grado sono chiuse in tutta Italia da settimane per l’emergenza coronavirus, e dopo un lento avvio macchia di leopardo, si stanno quasi tutte attrezzando per offrire varie forme di didattica a distanza, utilizzando piattaforme come zoom, edmodo, google form. Le esperienze sono le più diversificate, anche a seconda del grado di scuola, e richiedono una capillare digitalizzazione degli studenti, creando soprattutto in certe zone, una disparità tra chi ha accesso a pc e tablet e chi invece non ne dispone. Per questo alcune onlus (come per esempio Fondazione Albero della vita e Save the children) si sono attivate per raccogliere fondi da destinare all’acquisto di tablet per gli alunni più svantaggiati. In questo articolo abbiamo raccolto le esperienze di cinque soci Icwa che oltre a essere scrittori sono anche insegnanti.
Cinzia Capitanio, insegnante di scuola primaria a Vicenza di italiano, storia, geografia, scienze, musica e religione cattolica.Il 70% dei suoi alunni provengono da ogni parte del mondo: Pakistan, Cina, Romania, Albania, Macedonia, Marocco, Serbia, Croazia…«In questi giorni sto preparando delle videolezioni in modo che i miei alunni mi sentano vicina. Personalmente credo poco alla mera trasmissione di link reperiti nel web anche per la necessità di utilizzare un linguaggio e un codice comunicativo adatto al tipo di classe dove insegno. Cosa stiamo facendo? Ripassiamo la grammatica e scriviamo storie… tante storie! Ogni settimana preparo una videolezione in cui presento gli ingredienti dei racconti che proveranno a inventare. I bambini me li spediscono in tutti i formati possibili e immaginabili: word, pdf, foto e perfino scritte su WhatsApp. Va bene tutto… purché manteniamo il contatto diretto. Io li leggo, li correggo e li inserisco in una raccolta. Quando sarà tutto finito, stamperò per ogni bambino il libro con tutte le storie scritte e i disegni. Naturalmente abbiamo inventato anche dei racconti per sconfiggere il coronavirus e la paura. E poi leggiamo. Quest’anno abbiamo adottato il libro di un’autrice e io mando gli audio con la mia voce che legge così tutti i bambini (anche quelli DSA o con deficit cognitivi) possono leggere. Con il passare dei giorni sono molti i bambini che cercano un contatto che va oltre le attività didattiche. Mi inviano disegni con scritto “Andrà tutto bene”, audio e messaggi… Mi dicono che sentono la nostalgia della scuola e che vorrebbero tornare alla vita di prima. Il messaggio più bello? “Ti voglio bene maestra”. Ed è così che scompare ogni fatica.

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