Articoli

Quentin BlakeLa socia Carolina D’angelo condivide con noi il ricordo di un’intervista realizzata nel 2001 al grande Quentin Blake, illustratore per ragazzi di fama mondiale.

Si tratta di un’intervista inedita, realizzata per la sua tesi di laurea e mai resa pubblica prima d’ora.

Ecco il racconto di Carolina e la traduzione della lunga chiacchierata che ha avuto con l’illustratore inglese.

«Oltre vent’anni fa o quasi suonai al campanello di Quentin Blake nella sua casa di Londra per fargli qualche domanda sul lavoro di illustratore. Le risposte sono ancora molto attuali e utili per quanti si apprestano alla professione di scrittore con spensieratezza e giovane entusiasmo.

Già nel lontano 2001 Quentin Blake, nato in Inghilterra nel 1932, aveva già pubblicato più di 200 libri illustrati, esposto in musei tra cui la National Gallery di Londra e il Museo Petit Palais di Parigi, prestato la sua arte illustrativa per abbellire ospedali e tanti spazi pubblici, vinto premi e riconoscimenti importanti come, per citarne solo alcuni: il Whitbread Award, la Kate Greenaway Medal e il Bologna Ragazzi prize.

Così veniva definito dal nostro professor Antonio Faeti, uno dei pochi studiosi di immagine all’epoca: Quentin Blake per il suo segno bizzoso, irriverente, aggressivo, non scevro di una segretissima inclinazione per un’insospettabile malinconia, richiama la grande lezione della caricatura inglese; sembra citare più volte i topoi dickensiani, raccoglie la baldanza, i veleni, le picaresche incursioni oniriche dei victorian comincs[1]»

Intervista a Quentin Blake

Come è diventato illustratore e poi scrittore per bambini?

Ho iniziato come Collodi, disegnando vignette per riviste satiriche come Punch. I miei primi lavori sono usciti negli anni ‘50, ma è nel ‘60 che prende avvio la mia carriera. Ho studiato per diventare maestro e ho letto molta letteratura inglese all’università. L’infanzia, perciò, mi interessava da un punto di vista pedagogico. In seguito ho capito che mi sarebbe piaciuto avere un libro tutto mio, senza articoli, didascali tipici del giornale. Così ho chiesto al mio caro amico John Yeoman, con il quale avevo già collaborato: “Sei capace di scrivere un libro per bambini?” Lui l’ha fatto. E così è iniziata la mia carriera di illustratore per bambini.

In parte ho cominciato perché desideravo un libro tutto per me, e in parte perché adoro l’umorismo. Ma l’umorismo che scaturisce dai disegni e non dalle parole. Volevo divertire il lettore con i disegni. Ho pensato: “Forse ai bambini piacerà”. Ed è piaciuto!

E così ho iniziato a illustrare libri.

E a scrivere?

Il primo libro che ho scritto, scrivo soltanto libri illustrati con testo molto breve, l’ho scritto perché nessuno mi permetteva di illustrare a colori!
Allora mi son detto: “Devo fare un libro con illustrazioni a colori e scriverò io stesso le parole”.
Il libro s’intitola Patrick. È la storia di un giovane che ha un violino magico, e quando lo suona cambia colore alle cose. Patrick contiene un’esplosione di colori.
Ne ho scritto un altro intitolato Angelo, è ambientato in Italia, pubblicato nel 1970. Con Angelo va in scena la Commedia Dell’Arte in giro per l’Italia, ma io non ero mai stato in Italia. Adesso sì. Non a quei tempi, non ancora.

Com’è riuscito a disegnare l’Italia; ha comprato una guida turistica?

Certo, e mi sono ispirato ai quadri di Tiepolo e di altri pittori. Mi domandavo: “Come sono gli alberi in Italia?”. E studiavo i dipinti e le foto che raffiguravano l’Italia. E quando ho visitato l’Italia per la prima volta, mi sono accorto che il paesaggio non era proprio come lo avevo disegnato io! Piano piano ho scritto e disegnato altri libri. E nel 1976, dato che ero diventato un illustratore e il mio editore voleva pubblicare un libro di Roald Dahl, chiese a me di curare i disegni. Così ci siamo conosciuti.

Il primo libro di Dahl che ha illustrato fu Il coccodrillo Enorme, giusto?

Si, quella fu la prima storia di Roald Dahl che disegnai. Ed è stato anche il suo primo libro illustrato, perché prima di allora Dahl aveva scritto soltanto racconti brevi.
Sia lui che l’editore volevano un libro con tantissime illustrazioni. E io li ho accontentati.

La sua collaborazione con Dahl nasce quindi da un scelta editoriale?

Proprio così. Tom Maschler, un bravissimo editore, stava pubblicando i racconti di Dahl e stava pubblicando i miei illustrati. Tuttavia credo che prima di dare a me il lavoro, avesse selezionato anche altri illustratori. Perché io gli mandai dei bozzetti di prova. Mai avrei immaginato che da quei primi bozzetti avrei poi disegnato tutti i libri scritti da Roald Dahl!
Dopo Il coccodrillo Enorme pensavo davvero che il mio lavoro con Dahl fosse concluso. E invece, poi vennero Gli Sporcelli. E lavorare insieme diventò un’abitudine. Io e Roald Dahl imparammo a conoscerci meglio e diventammo dei veri e propri collaboratori.

Quando lei illustra una storia deve attenersi severamente al testo scritto o può esprimersi liberamente?

Non è facile spiegare il modo di lavorare. Non mi piace andare contro la storia. Cerco semmai di svilupparla, aggiungendo dettagli. Perciò se è una storia immediata come Il coccodrillo Enorme, cerco di mostrare prima di tutto a cosa somiglia un coccodrillo enorme. Non sarà sicuramente un personaggio buono e divertente. Nessun coccodrillo poi è buono. E questo in particolare Dahl voleva che fosse davvero molto cattivo. E io gliel’ho disegnato.
Allora, se trovi scritto che il coccodrillo combina scherzetti crudeli devi avere l’impressione dal disegno che il coccodrillo è davvero cattivo.

Cosa accade se un suo personaggio è diverso da come lo ha immaginato lo scrittore?

Faccio molti schizzi. E moltissimi bozzetti per ogni personaggio, che poi mostro all’autore per condividere il suo pensiero. Con Roald Dahl abbiamo lavorato sempre in questo modo. E se capitava di esclamare: “Non è proprio come lo avevo immaginato”, rileggevo e (rileggo ancora oggi) la storia molto attentamente e cerco di aggiustare il personaggio.
Mi ricordo però una volta mentre lavoravamo a Matilde ho mostrato a Dahl i disegni e lui mi ha detto: “Per me Matilde era molto più piccolina, ma anche così mi sembra funzioni molto!”
Ho sempre cercato di mostrare i miei disegni all’autore prima che all’editore. Lavorare in questo modo per me è fondamentale perché il testo è la guida imprescindibile alle illustrazioni.

Quindi lei e lo scrittore lavorate di pari passo. Siete dei collaboratori, corretto?

Esatto. Io disegno quello che trovo giusto andrebbe mostrato, anche solo uno schizzo e poi chiedo il parere dello scrittore. Credo comunque che se tu rispetti la storia è difficile sbagliare. Sì potrai modificare qualche dettaglio ma il risultato finale lo ottieni.

Lei è quindi molto disponibile ad adattarsi alle scelte degli scrittori, giusto?

Sì, è il modo di lavorare che preferisco. E che ti dà comunque la possibilità di illustrare tantissimi dettagli “nascosti”. Inoltre quando collabori con bravi scrittori, la storia è sempre ricca di particolari da disegnare. Rispettare il testo per me non è mai stato limitante; anzi talvolta ci sono davvero tantissime cose da disegnare. Persino troppe da avere l’imbarazzo della scelta.

Come riesce a disegnare i personaggi cattivi? Lo domando poiché mi sembra un compito duro

E di fatto lo è! È però l’aspetto che mi ha sempre interessato di più. Nei miei libri, per esempio, quelli in cui sono autore e illustratore, non riuscirei mai a inventare personaggi tanto orribili come sono quelli di Dahl. Credo che un artista debba sforzarsi molto per creare e dunque essere, o immedesimarsi, nei personaggi cattivi. E dare a questi personaggi una forma e un carattere diventa un po’ come se tu fossi un attore di teatro. Ossia l’illustratore deve trovare qualcosa di incredibilmente mostruoso dentro di sé per metterlo poi, in scena, sul foglio di carta.

Si ispira a qualcuno che conosce, che per caso ha incontrato?

No, il personaggio cattivo è una persona puramente inventata. Per crearlo devi soltanto immaginarlo.

Le chiedo questo perché nonostante i personaggi delle storie di Dahl sembrino orcheschi conservano allo stesso tempo caratteristiche umane. Ritengo che sia questo l’aspetto più coinvolgente, ovvero offrire al lettore l’impressione che questa o quella storia possa succedere per davvero.

Giustissimo. Infatti è proprio quello che capita con la terribile direttrice Miss Trunchbull di Matilde. Sia io che Roald Dahl eravamo d’accordo che il personaggio fosse troppo orchesco, Dahl infatti disse: “È troppo mostruosa, non potrebbe mai esistere una come lei!”.
Miss Trunchbull sembrava così una caricatura. Ma una caricatura di qualcuno talmente cattivo che esiste per davvero. E questo accade anche per alcuni personaggi di Polissena del Porcello.

Perché ha scelto di illustrare le storie di Bianca Pitzorno?

Non l’ho scelto; loro hanno scelto me. È stato l’editor che lavorava per Mondadori, credo avessero pubblicato Roald Dahl o comunque dei libri dell’editore francese Gallimard.
Insomma mi conoscevano per le illustrazioni dei libri di Dahl e così l’editor mi ha chiesto via lettera: “Vorrebbe illustrare i libri di Bianca Pitzorno?” Il primo libro a cui ho lavorato è stato La casa sull’albero.

Ha letto il libro in italiano oppure degli estratti tradotti?

Nessuno dei due. L’editor mi ha mandato un riassunto in inglese. Una sorta di linee guida con quello che accadeva in certe scene. E poi sempre l’editor, o la scrittrice questo non lo so, mi ha mandato la lista delle illustrazioni che doveva fare.

Come mai non le forniscono il libro tradotto integralmente?

Per me questo è un grande problema. Preferirei avere la traduzione così potrei verificare se sto svolgendo un buon lavoro. Perché il mio modo di operare, quando illustro un libro in inglese, è leggere attentamente tutto il testo e cercare le parti migliori da trasporre in immagini.

Per i lettori appassionati dei libri di Dahl-Blake, ricchi di illustrazioni, si prova una certa delusione a sfogliare quelli della Pitzorno, con pochissime immagini. Insomma, manca qualcosa.

Era lo stesso per Roald Dahl. Dahl adorava le immagini, tenendo conto poi che le sue storie sono destinate a lettori 8-9 anni.
Dahl adorava le immagini. E quando ho illustrato Il GGG, che è stato il primo racconto lungo su cui ho lavorato, l’editore mi ha detto: “Potresti fare una dozzina di disegni?”. Siccome anche per Dahl era la prima volta, ho fatto dodici illustrazioni gli ho inviato di alcune i bozzetti e il libro è andato in stampa. Quando Dahl ha scoperto che le illustrazioni erano soltanto dodici si è infuriato!
“Voglio una montagna di illustrazioni!” ha urlato e ha bloccato la stampa. E io ho lavorato altri 6 mesi sul Il GGG. E ho disegnato una montagna di illustrazioni.
Per Matilde, mi ricordo che ho disegnato 100 immagini! E Dahl esclamò felice “100!”. Per lui se il libro aveva tante illustrazioni diventava una cosa preziosa.

Quando ha disegnato il gigante nel Il GGG si è ispirato per caso a Dahl? Trovo che gli somigli abbastanza.

Un po’ gli somiglia. Alcune persone mi dissero che avevo modellato il gigante a immagine di Dahl. A me però non sembra. Hanno qualcosa in comune il viso però è diverso. Forse in comune hanno l’altezza e il modo di camminare.

Le chiedo questo perché a mio avviso Dahl scrisse IL GGG riferendosi a se stesso. Il gigante sembra comportarsi allo stesso modo in cui Dahl si comporta nei confronti dell’infanzia. Cosa ne pensa?

Penso che lei abbia ragione, ma io non lo capii subito. Soltanto più tardi, quando mi chiesero di fare gli altri disegni, oltre a quei dodici già pronti, iniziai a riconoscere le similitudini tra Dahl e il gigante. E la protagonista della storia, Sophie, è sua nipote.

Tornando ai suoi lavori sui libri di Dahl e Pitzorno, cosa pensa dell’infanzia italiana? È tanto diversa da quella inglese?

Sì molto. Inoltre mentre lavoravo io immaginavo l’Italia. Nel primo libro di Bianca Pitzorno, La casa sull’albero la storia è abbastanza esagerata ma non tanto quanto le storie di Dahl. Credo che i libri della Pitzorno abbiano sì delle avventure straordinarie ma siano comunque più vicini alla realtà. Entrambi, sia lei che Dahl, hanno una ricca carrellata di personaggi ma la Pitzorno offre al lettore una visione speciale della vita reale.

Cosa piace di più ai bambini delle sue illustrazioni?

Non saprei, è una domanda difficile. Ed è difficile trovare la risposta perché io non sono loro. Ma se comunque provi a chiederlo ai bambini, anche per loro sarà difficile darti una risposta perché non sono in grado di verbalizzarlo razionalmente.
Riguardo alle mie tavole, credo che i bambini amino l’impressione che qualcosa sta per succedere. Ossia quel momento preciso in cui qualcosa sta per succedere che però non è ancora successo.
C’è anche un’altra tipologia di immagini che piace molto ai bambini. E sono quelle immagini ricche di dettagli dove puoi vedere i mobili, come sono fatti gli alberi. E disegnarle ti dà molta gratificazione poiché ogni disegno è diverso dal successivo. Nelle mie illustrazioni, invece, non compaiono dettagli del genere. Disegno soltanto ciò di cui il lettore ha bisogno. Cerco di cogliere l’attimo, quel momento in cui l’’azione sta per succedere ma non è ancora successo nulla di definitivo, ad esempio: una bambina sulla bicicletta, un ragazzo che corre per la strada, qualcuno all’improvviso che apre una porta.
È recitazione pura: disegno il minimo indispensabile per far capire la storia. È ciò che avviene in teatro: io teatralizzo la storia in immagini. L’altra ragione per cui i bambini amano i miei disegni è che sembrano molto semplici e quindi non creano una distanza tra lettore e immagine. Infatti i bambini pensano di essere in grado di fare anche loro disegni del genere o che addirittura li hanno già fatti da qualche parte. Il mio modo di disegnare è davvero molto vicino ai bambini.
E io non lo faccio pensandoci, non lo faccio a posta, è soltanto il mio modo di disegnare. E sono molto fortunato che ai bambini questo piaccia.
Agli inizi della mia carriera, però, mi sono state mosse molte critiche: dicevano che i miei disegni mancavano di accuratezza e perciò non sarebbero mai piaciuti ai lettori bambini.
In effetti guardando le mie illustrazioni, sembra davvero che io non ci metta la minima cura nel farle; ma non è così. Anzi, io impiego ore e ore di lavoro per un disegno! C’è tantissimo studio e pianificazione dietro ogni mio illustrazione. Faccio una montagna di bozzetti prima di arrivare alla versione finale del personaggio.

Non deve essere facile aggiungere umorismo al testo con le immagini. È proprio questo che amo dei suoi disegni: il loro grande senso dell’umorismo. Come ci riesce?

Non lo so. È il mio modo di vedere la realtà.

Le storie di Roald Dahl senza le sue illustrazioni non sarebbero mai state così divertenti. Non trova?

Spero sia vero. Me lo dicono in tanti, e mi dicono che delle letture fatte da bambino ricordano tanto la storia quanto le illustrazioni. Perciò penso che la collaborazione con Roald Dahl fu un vero successo. Comunque se la storia è buona hai sempre in mente cosa disegnare e con i libri di Rald Dahl e poi con quelli della Pitzorno diventa un gioco da ragazzi.
In Polissena del Porcello per esempio, sapevo già che avrei attinto dalla Commedia Dell’Arte. E non vedevo l’ora di disegnare!

Lei pensa che i bambini abbiano questo grande bisogno di vendicarsi contro gli adulti?

No. A volte magari sì. Ma non sempre.

Perciò lei ha avuto un’infanzia felice?

Sì.

Quale è il suo libro preferito tra i 200 che ha illustrato?

È difficile nominarne uno, io li amo tutti. Se devo proprio scegliere dico: Clown. Perché non ci sono parole. Ritengo sia molto interessante pubblicare un libro solo di immagini.

 

[1] A Faeti, Il Giardino dei pennelli, in Pictures. Illustratori inglesi per bambini. Giannino Stoppani Editore, Bologna 1991, p. 11.