Il premio Andersen 2019, tra i più prestigiosi e ambiti riconoscimenti della letteratura per ragazzi in Italia, è stato assegnato per la sezione 9-12 anni al socio ICWA Alberto Melis, per il suo romanzo Ali Nere, pubblicato nel 2018 da Notes edizioni nella collana Rimbalzi, diretta da Marco Tomatis, anche lui socio ICWA.
Ecco la sinossi del romanzo:
1937. Il paese basco di Durango, Spagna.
Un momento tragico e poco conosciuto della recente storia viene raccontato attraverso gli occhi di Tommaso, un ragazzo italiano dodicenne giunto in Biscaglia con i genitori impegnati, insieme a uomini e donne di cinquantatré diverse nazioni, a combattere contro l’esercito franchista e per la libertà.
Nonostante la guerra civile, Tommaso vive intensamente le esperienze e i dubbi della sua età.
Stringe una forte amicizia con Susa, una ragazza spagnola libera e ribelle che gli fa amare Garcia Lorca, le letture, la natura, gli animali. Un albero diventa il loro rifugio. Il 31 marzo, in un tranquillo giorno di mercato, compaiono nel cielo di Durango sagome nere di aerei. Nessuno può immaginare quello che sta per accadere.
Alberto è stato intervistato da Chiara Segré:
Ti aspettavi la vincita del premio quando hai saputo di essere in finale?
Francamente no. Anche perché ero già stato finalista due volte, la prima nel 2005 con Una bambina chiamata Africa, che ha per protagonista una bambina soldato, e la seconda nel 2011 con Il ricordo che non avevo, che ha come sfondo le sofferenze del Popolo Rom, dalle persecuzioni razziali sotto il nazismo nel ghetto di Lodz al persistere dei peggiori stereotipi del presente. In entrambi i casi non vinsi, pur avendoci sperato molto: va da sé che alla terza occasione ho evitato puntigliosamente ogni volo di fantasia.
Cosa che, peraltro, mi ha permesso di gioire più intensamente quando Barbara Schiaffino mi ha comunicato la notizia dell’assegnazione dell’Andersen. Un altro motivo per me di grande soddisfazione, dopo essere arrivato finalista in passato con due titoli pubblicati da Piemme e Mondadori, è poi l’aver vinto il premio con una piccola casa editrice come Notes, che ha avuto il coraggio di pubblicare una storia difficile e per molti versi “scomoda”. Cosa che tra l’altro testimonia, ancora una volta, la grande professionalità e imparzialità della giuria del Premio Andersen.
Ali Nere parla della guerra civile spagnola: come mai hai scelto quel conflitto e quel periodo storico?
Per puro caso. Quando Marco Tomatis mi chiamò per chiedermi se avessi avuto piacere di scrivere un romanzo per la nuova collana “storica” che Notes stava per inaugurare e che lui avrebbe diretto, pensai subito alla vicenda del bombardamento di Durango da parte dell’aviazione fascista italiana, il primo a tappeto su un centro abitato, che precedette addirittura quello di Guernica reso tristemente celebre dall’opera di Picasso.
Un tragico avvenimento ignorato dalla nostra storiografia e reso pubblico sulla grande stampa italiana solo pochi mesi prima, dopo la richiesta di danni che il piccolo comune basco presentò contro lo Stato italiano.
Svelaci qualche retroscena della genesi di Ali Nere
La genesi della trama, dei personaggi, dei loro nomi e più in generale dell’atmosfera del romanzo era già tutta dentro di me, ho dovuto solo darle fiato e gambe. Da giovane ho conosciuto e frequentato un anziano combattente della Guerra Civil, volontario nelle formazioni libertarie internazionali. Si chiamava Tomaso Serra (nome che poi ho dato al giovane protagonista del mio romanzo) e viveva in una piccola fattoria in Sardegna.
In Spagna combatté con la mitica Colonna Rosselli, perse per mano franchista la sua compagna e venne poi arrestato e condannato a morte dagli stalinisti durante le purghe di Barcellona che frantumarono definitivamente il fronte antifascista: condanna da cui si salvò miracolosamente grazie all’intervento della Croce Rossa Internazionale.
Tomaso sapeva restituire con i suoi racconti l’anelito di libertà e di giustizia che animava i volontari libertari in Spagna, ma anche la durezza di una guerra che fu madre di ogni futura ferocia nel secondo conflitto mondiale che sarebbe scoppiato da lì a pochi anni.
Animare su questo sfondo le vicissitudini di Tomi e Susa, cercando di far sì che i loro pensieri, i loro sentimenti e le loro aspirazioni non restassero schiacciati dal maglio della violenza, è stato forse l’ostacolo più difficile da superare.
Qual è il valore della Storia e come può aiutarci a vivere il presente?
Io credo e mi auguro che il valore del romanzo stia prima di tutto nella storia dei due ragazzini protagonisti, nel loro resistere con pervicacia alle brutture della realtà oggettuale che li circonda, nel loro continuare a nutrire sentimenti e passioni forti, al modo dei ragazzi, istintivamente e ostinatamente utopico, e non degli adulti. Mi auguro anche, nel contempo, che i fatti reali descritti nel romanzo, contribuiscano a costruire una memoria condivisa di un passato con cui in Italia, oggi più che mai, non tutti sembrano aver fatto i conti.
Tu sei impegnato in prima linea nella difesa dei diritti civili e delle minoranze. è una battaglia difficile, con cosa ti scontri nel quotidiano?
Con un egoismo sociale mai esistito prima nella sua vastità e nella sua pregnanza. Un fenomeno dai tratti distopici generato certo da ignoranza, chiusure culturali e paure dell’Altro da sé, ma anche ideologicamente costruito, tassello per tassello, per scopi di predominio politico.
Fortunatamente assistiamo anche alla sempre maggiore mobilitazione di un’Italia solidale, cosciente degli errori storici commessi in passato, proiettata con serenità, fiducia e spirito di solidarietà sulla strada indicataci dalla nostra Costituzione.
Pensi che uno scrittore, soprattutto per ragazzi, abbia intrinsecamente anche un ruolo ‘politico’ o no?
Certo, ma in senso lato, ovvero se intendiamo per “politica” tutto ciò che riguarda la nostra vita e la società in cui viviamo. Come sappiamo alcuni mesi fa centinaia di scrittori e scrittrici, illustratori e illustratrici per ragazzi italiani hanno preso una netta posizione contro ogni discriminazione di quelli che oggi, di nuovo, vengono considerati gli Ultimi della Terra: i migranti, gli stranieri, i rom. Hanno fatto politica? Non c’è dubbio.
Ma politica hanno fatto anche tutti quelli che, per i motivi più svariati, hanno ritenuto di non intervenire. Volenti o nolenti noi scrittori e scrittrici, alla pari di tutti gli altri intellettuali, contribuiamo con le nostre parole e con i nostri silenzi a fare della nostra società ciò che è, nel bene e nel male. E in fondo, anche senza voler scomodare il concetto gramsciano di “egemonia culturale”, politica è anche tutto ciò che scriviamo nelle nostre storie per i ragazzi: al pari delle più antiche fiabe e favole che “servivano” a discernere il giusto dall’ingiusto, il buono dal cattivo, il lupo dall’agnello.