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“Tenetemi stretta” è un romanzo sincero, ironico e profondo. Non esiste il modo giusto per dirlo alle persone che ami, e ne elenca diversi: vago, logorroico, prosaico… e poi definitivo.

Avevo iniziato a scrivere questa recensione qualche settimana fa. Poi tra un lavoro da concludere e un corso di formazione lontana da casa per il quale prepararmi, l’ho lasciata in sospeso, ripromettendomi di concluderla appena rientrata.

Nel frattempo Sabina Colloredo ci ha lasciato. Ho appreso la notizia nel bel mezzo del corso e con un nodo alla gola mi sono detta che no, non me la sentivo più di scriverla.

Perché non è giusto che le cose siano andate così. Non è giusto che il mondo della letteratura abbia perso una figura così emblematica. Non è giusto che lei non la possa nemmeno leggere.

Poi però mi sono anche detta che per non perdere traccia di tutto ciò che ci ha lasciato è bene parlarne e scriverne, in qualsiasi modo e sotto qualsiasi forma.

Ho sempre adorato la scrittura di Sabina Colloredo, vivace, fresca e autentica, in grado di farmi entrare completamente nelle storie e nei meandri dei personaggi. Al punto di dimenticarmi di tutto il resto.

Apri un suo libro e sbam, stai lì dentro, immersa fino al collo e finché non lo finisci ti scordi letteralmente di dissetarti, di andare al bagno o di pensare alla cena. Che tanto i suoi libri sono già di per sé nutrimento.

È stato lo stesso anche per uno dei suoi ultimi romanzi, “Tenetemi stretta”, pubblicato da Carthusia. Assaporato nel giro di qualche ora.

Non il suo primo romanzo per adulti, ma il più personale, si legge in terza di copertina.

E si sente, si percepisce tutta la vita che scorre tra le pagine, tra quelle parole in grado di far riflettere e sorridere sugli ostacoli che a volte il destino ci sbatte sui denti, senza guardare in faccia nessuno.

“Tenetemi stretta” è un romanzo sincero, ironico e profondo. Un viaggio che parla della malattia, perché bisogna parlarne, di malattia e di morte. Certo, ci spaventano. Fa tremare solo sentire la parola tumore e questo Sabina lo sapeva bene. Non esiste il modo giusto per dirlo alle persone che ami, e ne elenca diversi: vago, logorroico, prosaico… e poi definitivo.

La narrazione in prima persona, intervallata da vere e proprie perle di dialogo, permette di entrare lì con lei nei corridoi d’ospedale, nella sua cucina, sul balcone tra le sue piante, che prima di chiunque altro, si erano accorte che qualcosa non andava.

C’è tutto in questo romanzo: c’è lo sguardo sulle conquiste del passato e su ciò che ha contribuito alla formazione, ci sono la famiglia e gli amici, ma c’è anche una riflessione sul domani che verrà.

Sarà un domani più triste senza di te, Sabina, che passo dopo passo, sul filo, danzi e rimbalzi la vita. Grazie per tutto quello che ci hai donato.

di Elisa Vincenzi