Emanuela Da Ros è un’autrice dalla scrittura precisa, essenziale, mai sciatta, capace di far pensare, di raccontare storie difficili, ma anche di divertire. Tratta le situazioni forti, le gestisce e addomestica con la sua creatività, mantenendo sempre anche un filo d’ironia, che è speranza e ottimismo, nonostante tutto. La cercatrice di parole è una storia molto spassosa e usa proprio l’ironia per raccontare di parole e di Alessia, il cui nome deriva dal greco e significa “senza parole”.
Alessia parla tantissimo, a sproposito e a proposito, a volte anche nello stesso tempo. E questo è il presupposto di un romanzo nel quale, con la leggerezza del non senso, dei giochi di situazione, dei personaggi caratterizzati fino all’assurdo, l’autrice ci restituisce significati profondi, etimologie e la crescita inevitabile di una deliziosa adolescente come tante.
E se il divertimento è assicurato, non manca il racconto sociale che si stende sotto tutta la storia, impietoso se non fosse per quell’ironia che gli dà concreta speranza. Quindi: Alessia, i professori con i soprannomi, i compagni di classe insopportabili e sopportabili, l’amica del cuore, gli amori, il fratello, il gatto, la madre e i padri.
Tutto in una girandola di pensieri e azioni che prende il via davanti alla bancarella dei libri usati del signor Luciano e tra le pagine del Dizionario delle parole che cerchi. Una lettura unica e preziosa, che fa spuntare il sorriso sulle labbra alla lettrice o al lettore e nella quale ci accomodiamo così bene che è difficile chiudere l’ultima pagina.
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