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Durante il convegno AI Week di Rimini una serie di esperti ha prospettato le caratteristiche di questa modalità di produrre contenuti e processi  in diversi campi: medico, ingegneristico, artistico… Nessun allarmismo, ma occorre farsi trovare preparati, e in particolare la scuola italiana mostra un ritardo tecnologico che rischia di renderla sempre più distante dal mondo reale.

Si è svolta a Rimini dal 17 al 21 aprile 2023 la AI Week, cinque giorni di interventi sull’intelligenza artificiale di cui due in presenza al Palacongressi. Forse uno dei pochissimi luoghi dove schiarirsi le idee sull’argomento, lontani dagli sterili discorsi binari o apocalittici proposti dai media per fare notizia.

Sul palco della AI Week infatti si sono alternati in una serie di talk quelli che possiamo considerare i protagonisti italiani di questa innovazione tecnologica che pare rivoluzionerà il nostro mondo come uno tsunami, a una velocità mai sperimentata prima da nessun’altra invenzione umana.

Il problema è anche che le cose non stanno esattamente così: l’AI non è qualcosa che ci piomberà dal cielo tra capo e collo ed è meglio sfatare subito alcuni miti.

  1. Gli studi e gli esperimenti sull’AI risalgono agli anni ’60. I risultati che vediamo oggi sono il frutto di decenni di lavoro.
  2. L’AI non è una roba da giovani smanettoni nerd che conquisteranno il mondo. Al momento sono molti i professionisti e gli studiosi over 60 alla guida dei maggiori esperimenti sul campo.
  3. L’AI non è intelligente. Deve essere istruita, addestrata e controllata nei risultati da referenti umani. Se un bambino capisce cosa è un cane dopo averne visti due, l’AI ha bisogno di centinaia di migliaia di immagini di cani per distinguerlo da altre specie.
  4. L’AI non è infallibile. I risultati del suo utilizzo devono essere sempre verificati e controllati.
  5. L’AI non crea, elabora enormi quantità di dati a una velocità impossibile per qualunque team di esseri umani.
  6. Dare istruzioni all’AI al momento non è un gioco da ragazzi. I “prompt”, cioè queste istruzioni, devono essere precise nel linguaggio e nelle sfumature, devono porre la domanda giusta e devono essere scritte in un certo modo. Per ottenere risultati di alto livello, servono competenze pari.

Sono solo alcuni dei punti emersi durante le giornate del convegno ma sufficienti ad avere un quadro meno catastrofico di quello che ci aspetta. Anche perché, a quanto pare, l’AI viene utilizzata già adesso in moltissime app che conosciamo e gestisce i nostri algoritmi da tempo senza che ne fossimo consapevoli. È una tecnologia che avanza, il cui primo obiettivo, come hanno ripetuto molti speaker, è alleggerire gli esseri umani dai compiti alienanti e ripetitivi.

Un esempio? Un operatore di call center viene aiutato da una AI per smistare le chiamate con le domande più ricorrenti e semplici. Sarà la AI a rispondere, mentre l’operatore si dedica a mansioni più complesse.

Ma ancora più entusiasmanti sono le sue applicazioni in campo medico e scientifico. Prevedere quali edifici crolleranno in caso di terremoto nelle città a rischio e metterli in sicurezza, per esempio, o fare diagnosi semplicemente dalla voce di un essere umano, così come con lo stesso sistema sarà possibile interpretare il pianto dei neonati e stabilirne la causa. Sembra fantascienza, eppure sono progetti già realizzati.

In campo artistico le cose invece si complicano forse anche a causa del fatto che sul copyright e la sua gestione nella rete non si è mai fatta chiarezza già dai tempi del modem.

La condivisione di immagini prese da internet e magari manipolate con i programmi di fotoritocco, l’utilizzo di materiale senza citare la fonte, il copia e incolla di testi altrui senza citare l’autore, sono prassi già ampiamente sdoganate che con l’AI tornano a riproporsi come problematiche importanti.

Massimo Chiriatti, autore del libro “Incoscienza artificiale” e dirigente della Lenovo, ha posto delle domande che potrebbero essere un ottimo punto di partenza per una discussione razionale:

Creatività è:
  • il prompt (inserito dall’umano)?
  • l’elaborazione dell’AI?
Arte è:
  • l’idea umana?
  • quello che vediamo, cioè il risultato realizzato dall’AI?
Artista è:
  • l’umano?
  • anche l’AI che ha permesso la creazione dell’opera?

Non sono domande semplici, soprattutto dopo aver visto le tavole a fumetti di Giacomo Giaquinto, altro speaker della AI Week, scrittore che usa l’AI per realizzare da solo le graphic novel che scrive, eliminando il potenziale ostacolo di dover trovare e coinvolgere un disegnatore professionista.

Di scrittura al momento si parla in campo giornalistico, dove la AI aiuta le redazioni a smistare e catalogare le centinaia di notizie che arrivano ogni giorno dalle agenzie stampa di tutto il mondo in modo che i giornalisti possano scrivere i loro articoli senza annegare nel sovraccarico di informazioni, ricevendo già le notizie che sono più interessanti per il Paese in cui operano.

Le questioni aperte comunque sono tante e c’è sicuramente bisogno di quello che gli addetti ai lavori chiamano un guardrail: cioè una combinazione di leggi e etica che eviti a questo carrozzone appena partito di andare fuori strada e di creare danni enormi. Perché, come ci ha ricordato Chiriatti, l’AI non ha coscienza né morale né sa cosa significhi pentirsi – ed è per questo che non può essere definita intelligente.

La Comunità Europea ha già scritto l’AI Act nel 2021 per creare uno standard di controllo unificato, secondo il quale le violazioni ammontano fino a 30 milioni di euro o al 6% del fatturato dell’azienda incriminata.

Insomma, le sfide che abbiamo davanti saranno tante quante le opportunità e di sicuro gioca dalla nostra parte la grande esperienza accumulata con la tecnologia in questi anni. Sappiamo che non esiste niente di davvero innocuo quando lasciamo che si diffonda senza controllo e senza regole.

Di sicuro il futuro aumenterà la posta in gioco sulle competenze: serviranno persone più preparate in senso ampio e chi resterà indietro non avrà vita facile in un mondo in cui le nostre azioni saranno più legate a meccanismi su cui abbiamo poco controllo.

E l’intero discorso si traduce, ancora una volta, su un’unica questione: la scuola.

La scuola di oggi è assolutamente inadeguata rispetto alle sfide che affronteranno gli adulti del futuro prossimo. La scuola sarà probabilmente la zavorra che nel nostro paese renderà faticosa la transizione da un mondo del lavoro statico e prevedibile a uno in continua evoluzione, in cui nulla potrà essere davvero previsto a causa della velocità a cui andremo.

Manuela Salvi