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Il Ministero dei Trasporti ha pubblicato un bando per individuare un autore pluritradotto e con un brand di spessore che doni a titolo gratuito un racconto rivolto ai bambini sulla sicurezza stradale. Per ICWA è solo l’ennesimo segno di svilimento degli autori: scrivere è una professione e come tale deve essere retribuita.

Il 28 dicembre 2020 il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) della Repubblica Italiana ha pubblicato un “Avviso pubblico per la raccolta di manifestazioni di interesse per un progetto di sensibilizzazione dei più giovani sul tema della sicurezza stradale”.

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L’obiettivo è sensibilizzare i più giovani e, in particolare, i bambini tra i 7 e i 12 anni, riguardo all’importanza della sicurezza stradale e della riduzione del 50% del numero di incidenti e vittime entro il 2030, arrivando così, nel 2050, all’obiettivo, auspicato dall’Unione europea, di zero morti sulle strade.
Creare insomma cultura della sicurezza stradale. Sicuramente un progetto necessario e meritorio nelle intenzioni. C’è un grande ma. Il MIT, infatti, è alla ricerca di un racconto inedito sul tema, destinato appunto a bambini e ragazzi tra i 7 e i 12 anni, per realizzarne, presumibilmente, un libretto o un opuscolo da diffondere nelle scuole italiane.

E, giustamente, il MIT desidera che il testo sia di qualità, per cui l’Autore che si candidasse deve avere i seguenti requisiti (da dichiarare espressamente):
a. aver già scritto libri destinati ad una fascia di età compresa tra 7 e 12 anni;
b. avere una presenza internazionale, avendo venduto libri di cui al precedente punto a. in almeno 10 nazioni nel mondo;
c. aver pubblicato libri di cui al precedente punto a. in diverse lingue;
d. avere un brand riconosciuto e già affermato.

Insomma, il Ministero sta cercando un Autore (o Autrice) con la A maiuscola, non un esordiente in attesa della giusta occasione per mettersi alla prova. Addirittura si richiede di essere pluritradotti all’estero (e sappiamo bene quanto sia difficile essere esportati per un italiano): essere presenti con i propri libri in almeno 10 nazioni nel mondo vuol dire essere davvero sul podio della letteratura per ragazzi italiana contemporanea.
E sottolineare la necessità di avere un “brand” riconosciuto fa pensare che il MIT voglia in qualche modo “sfruttare” una visibilità già esistente per promuovere il progetto. E non ci sarebbe nulla di male, se non fosse per un piccolo dettaglio.

Citiamo il testo dell’avviso pubblico: è rivolto a tutti gli Autori di libri destinati ad una fascia di età compresa tra 7 e 12 anni, che siano disposti a cedere al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a titolo gratuito, il complesso dei diritti di sfruttamento di un racconto inedito occorrenti alla stampa, pubblicazione, anche nella modalità e-book, in lingua italiana e nel territorio italiano, nonché sui canali digitali.

Insomma, si sta chiedendo a un Autore/Autrice di cedere gratis sia il proprio lavoro intellettuale (racconto inedito) sia la propria visibilità. Fermo restando il nobilissimo fine ultimo del progetto bandito dal MIT e il fatto che chiunque può decidere di donare le proprie prestazioni professionali o il proprio nome per una buona causa, ciò che qui ci sentiamo di criticare è la “naturalezza” con cui si dà per scontato che il lavoro intellettuale sia da cedere gratuitamente, come se avesse meno dignità di un qualunque altro lavoro più “concreto”. E se il racconto fosse poi rilegato, stampato e spedito, verrebbe chiesto al tipografo, al distributore e al corriere di lavorare gratis? Il MIT chiederebbe forse a un’impresa edile di effettuare la manutenzione stradale o la costruzione di un ponte senza compenso non solo dei materiali ma anche del lavoro degli operai?

Ci domandiamo: davvero il MIT non aveva alcune centinaia di euro per retribuire la cessione dei diritti e lo “sfruttamento” del brand dell’Autore?

Ciò che genera scoramento in chi lavora nella letteratura per ragazzi, scrittori in primis, non è tanto questo singolo caso; infatti, si è sempre liberi di non aderire se si ritengano le condizioni non vantaggiose. È però uno dei tanti esempi che dimostra come oggi nel nostro Paese, che si vanta di aver donato all’umanità capolavori della letteratura, dell’arte e della scienza come poche altre nazioni al mondo, sia profondamente radicata in tutti i livelli della società, e addirittura nelle istituzioni, l’idea che il lavoro intellettuale o artistico sia poco più di un hobby, e che quindi non sia “meritevole” di retribuzione. Anzi, talvolta ci si scandalizza quando un Autore o un artista chiedono un compenso per una prestazione. Altro luogo comune vede nella professione della scrittura qualcosa che “tutti possono fare” perché, dopotutto, tutti impariamo a scrivere fin dalla scuola primaria. Ma essere in grado di scrivere è ben diverso dal saper scrivere letteratura, per cui occorrono anni di studio, di esercizio e di duro lavoro, oltre a investimenti economici non indifferenti per una formazione di qualità. E questo vale per ogni altra professione artistico-culturale: pittura, teatro, danza, musica.

Purtroppo sono anni che in Italia si assiste a un impoverimento culturale, che non risparmia nessun settore della società. Eppure, le nazioni più eque e democratiche sono quelle che più investono e valorizzano l’impresa culturale, e che retribuiscono dignitosamente coloro che vi lavorano con serietà e professionalità. Forse sarebbe il caso di provare a invertire la rotta e la mentalità anche in Italia, a partire proprio dalle massime Istituzioni dello Stato.