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Una tradizione molto diffusa negli Stati Uniti, che, complice anche le incertezze del Covid, sta prendendo piede anche in Italia. Niente classi e docenti, ma i genitori che si fanno carico dell’istruzione dei figli a casa.
di Viviana Hutter

HOMESCHOOLING: RIVOLUZIONE DISSIDENTE O SCELTA CONSAPEVOLE?

bimboPrima di intraprendere la “strada meno battuta”, come scriveva il poeta Robert Frost, mi sono fatta (per anni) tantissime domande. Non volevo fosse solo una scelta per andare contro un sistema che in generale non apprezzo più, ma volevo essere consapevole e pronta ad affrontare un’avventura mica semplice. Educare (da educere, tirare fuori) è uno dei compiti più complessi, difficili, pieni di rogne, se vogliamo dirla tutta, ma anche pieni di enormi, immense e meravigliose soddisfazioni. Se questo compito, poi, è svolto da un genitore nei confronti di un figlio, tutto questo diventa ancora più impegnativo – nonché complicato – perché non è certo facile assumere con serenità ruoli diversi, come quello di mamma e maestra, nel giro di poche ore. È inevitabile che si confondano e che il bambino possa facilmente approfittarne (e che la mamma in questione possa perdere la pazienza e possa minacciare di offrire broccoli a pranzo se l’alunno/figlio non dimostri impegno e costanza nello svolgimento dei compiti…).

 

bimbaL’homeschooling, anche se molte persone lo ritengono meramente una scelta sovversiva, qui in Italia è regolamentato per legge da quasi 20 anni: già l’articolo 30 della Costituzione sancisce il “dovere e diritto dei genitori [a] mantenere, istruire ed educare i figli” (…). Non è dunque (solo) una delle tante tendenze arrivate direttamente dagli Stati Uniti. Certo, forse una parte di responsabilità nella diffusione di questa pratica educativa, qui nel nostro paese, è associata all’intensa attività online di decine e decine di mamme statunitensi di homeschooler che da anni hanno i loro personali seguitissimi blog, siti e shop in cui condividono materiali e idee per insegnare a casa qualunque materia scolastica. In USA l’educazione parentale ha preso piede già dagli anni Settanta, soprattutto nelle aree rurali, e oggi costituisce la formazione di circa 2 milioni di studenti, il 3,4% del totale. In effetti l’ordinamento italiano impone l’istruzione tra i 6 e i 16 anni di età, ma non obbliga esplicitamente a frequentare la scuola tradizionale, piuttosto consente di scegliere metodi alternativi di istruzione, come appunto l’home education, una vera e propria “scuola senza scuola”.

cartaQuindi i bambini/ragazzi devono essere istruiti per legge, ma non devono necessariamente frequentare le scuole riconosciute (private o pubbliche), potendo dunque i genitori “provvedere privatamente o direttamente all’istruzione dei propri figli, ai fini dell’esercizio del diritto-dovere” (art. 1, comma 4, D. Lgs. 15 aprile 2005, n. 76). Non è tutto. La famiglia può decidere di far proseguire gli studi al proprio figlio utilizzando l’educazione parentale fino all’università, senza mai avvalersi del sistema scolastico statale, e facendo sostenere al ragazzo gli esami di idoneità annuali, obbligatori per legge, per accedere all’anno scolastico successivo.
La scelta può ricadere anche su una scuola parentale, ovvero uno spazio comune autogestito da una serie di famiglie che, secondo scelte condivise, vanno a costituire una comunità educante che si occupa dei propri ragazzi.

Per anni ho pensato che mi sarebbe piaciuto moltissimo perseguire la strada dell’homeschooling ma avevo tantissimo timore di non farcela, di non essere all’altezza e soprattutto di non avere la pazienza di seguire giorno dopo giorno mio figlio in tutte le materie, stabilendo orari, programmi, obiettivi e fare addirittura delle valutazioni del lavoro svolto con lui.
Quindi per 10 anni ho lasciato perdere. Intanto, intorno a me e in generale in Italia, c’era un grosso fermento, sempre di più erano i genitori che sceglievano l’educazione a casa al posto di quella tradizionale, un po’ per la questione vaccinale (il decreto legge del 7 giugno 2017 ha fissato a 10 le vaccinazioni obbligatorie fino ai 16 anni, quelle relative ai meningococchi B e C sono invece solo raccomandate), un po’ perché l’idea di crescere “bambini liberi e felici” (ho letto un po’ dovunque questa descrizione) era sempre più ponderante rispetto a quella di far crescere i figli in contesti scolastici più o meno classici, con il conseguente rispetto delle regole, di metodologie, di direttive imposte dall’istituzione scolastica di riferimento.

Molti genitori (e in particolar modo molte mamme) si sono fatti portavoce di un disagio sempre più diffuso, ma anche di un desiderio, di una voglia irrefrenabile di andare contro un sistema che non considerano evidentemente né utile né adeguato all’educazione dei propri bambini.
È indubbio che il sistema scolastico italiano ha bisogno – ormai da anni – di una seria e profonda riforma che non dovrebbe riguardare nomenclature, quantità, percentuali, numeri, ma dovrebbe concentrarsi su una differente e rinnovata qualità incentrata sugli alunni, su nuovi modelli di apprendimento, su un’organizzazione più rispondente alle nuove tecnologie, ai nuovi bisogni anche comunicativi delle persone. Tutto questo, perlopiù assente, ha spinto moltissime famiglie a considerare l’homeschooling come una soluzione definitiva che possa “salvare” i figli da un’educazione tradizionale, anacronistica e indubbiamente inopportuna per chi vuole dare loro la possibilità di sentirsi “cittadini del mondo”.
Questo però prevede che i genitori abbiano la possibilità di offrire ai figli un livello di educazione adeguato o di poterlo fare attraverso l’aiuto di educatori, tutor o altri professionisti del settore. Una Circolare Miur del 21 dicembre 2015 ha infatti chiarito che, per assicurare l’assolvimento dell’obbligo di istruzione, i genitori che ricorrono all’istruzione parentale, hanno il dovere di presentare una dichiarazione alla scuola statale più vicina, dimostrando di possedere le competenze tecniche e i mezzi materiali, per provvedere in proprio all’istruzione dello studente.
E in questi 12 mesi, complici i disagi legati alla pandemia e alla Dad, le richieste di home education pervenute alle scuole di ogni ordine e grado si sono moltiplicate. Secondo Il Sole 24 Ore infatti già prima del 2020 erano 2.000 i ragazzi e le ragazze che avevano scelto l’istruzione parentale in Italia, un numero che si è quasi triplicato nell’ultimo anno, secondo l’Associazione Istruzione Familiare.
In Europa si può dire che il paese con i numeri maggiori rispetto alla scelta di una “scuola casalinga” è il Regno Unito: solo in Inghilterra gli homeschooler nel 2014 erano già oltre 27 mila e in tutto il Regno Unito, negli ultimi 5 anni, si è registrato un incremento del 65%.
Per me in questi anni non c’erano limiti o disagi di nessun tipo, non era una questione di salute né di abilità fisiche o cognitive di mio figlio. Non mi convinceva la scuola così com’era, punto. In effetti le cose non sono andate come avevo immaginato: mio figlio oggi ha 11 anni e ha seguito, tra alti e bassi, tutto l’iter del sistema educativo tradizionale: scuola dell’infanzia a 4 anni, scuola primaria e oggi scuola secondaria di primo grado. Ma intanto sono arrivati altri due figli e la voglia di rimettermi in gioco con l’idea dell’homeschooling si è fatta sempre più impellente e così, mentre il primo è iscritto alla scuola statale, per gli altri due ho iniziato il percorso di educazione parentale.
E posso affermare con gioia che è una sfida talmente avvincente ed emozionante che potrei consigliarla a occhi chiusi a chi davvero sente di voler proporre un apprendimento esperienziale, emotivamente coinvolgente e puramente creativo ai propri bambini. Si tratta in fondo di un’avventura da fare in famiglia, saltando mille ostacoli (soprattutto per chi come me ha un figlio con disturbi dell’apprendimento) dandosi la mano e lanciandosi tutti insieme, perché ogni momento condiviso, dalla creazione di una piramide col cartone alla visita ad un museo, da una passeggiata in un bosco all’osservazione delle stelle cadenti, diventa una straordinaria occasione per imparare (e insegnare) con gioia, costruire ricordi e affrontare i propri limiti con un sorriso.

Se un bambino impara con gioia, la lezione si inciderà nella mente insieme alla gioia. Daniela Lucangeli

Viviana Hutter