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1La nostra associazione ha acquistato libri da inviare a un campo profughi in Niger che accoglie bambini in fuga da diversi paesi dell’Africa. Altri libri li hanno donati i singoli soci. Una straordinaria iniziativa portata avanti dall’associazione Coltiviamo gentilezza.

Viviana Hutter

Per raccontare questa storia devo partire dalla sua fine, una fine simbolica in realtà perché da una parte si è concluso un evento, ma da un’altra ha avuto inizio qualcosa di straordinario.

E allora basta guardare quelle manine curiose, che sfogliano, stringono, toccano le pagine di libri per bambini per la prima volta. Le senti frusciare sotto le dita tonde e piccoline, quelle pagine che a noi sembrano così preziose, quelle copertine così famose le cui illustrazioni conosciamo anche nei minimi dettagli, come quelle di Pezzettino o Guizzino di Lionni, oppure dell’elefante colorato Elmer, o ancora della Piccola Macchia di Le Néouanic.

Per noi scrittori per bambini, e in generale per chi ama la letteratura infantile, quei libri sono un tesoro, perché la maggior parte di essi sono albi illustrati, quelli che qui, nel mondo benestante in cui viviamo, consideriamo classici, pezzi da collezione, irrinunciabili, quelli che non puoi non avere nella tua libreria. Ma per quelle manine deliziose sono solo fogli con belle immagini e parole sconosciute, non ne capiscono il valore economico eppure ne hanno colto in pieno l’importanza e l’utilità: far stare bene e divertirsi.

Per quei bambini i libri che sono partiti dall’Italia grazie a una raccolta promossa dalla mia associazione di promozione sociale Coltiviamo Gentilezza – a cui ha risposto con grandissima partecipazione l’ICWA in toto – sono un’esplosione di felicità, novità, curiosità, allegria.

E poi basta guardare quei piedini distrattamente appoggiati in un paio di ciabatte oppure scalzi, che lasciano immaginare una vita fatta di stenti, ma anche di piccole gioie, di strade fatte di terra rossa, di acqua presa da un pozzo, di ritmo nel sangue.

Possiamo assaporare l’Africa osservando i dettagli delle foto che ci hanno inviato gli operatori dal campo profughi di Hamdallaye, vicino Niamey, in Niger, ma non riusciremo a capire veramente cosa hanno visto quegli occhietti vispi, ascoltato quelle piccole orecchie, vissuto sulla loro pelle quei bambini che scappano, soli o accompagnati, dai loro paesi in guerra. Le foto mostrano bambini di diversa provenienza: Sudan, Eritrea, Etiopia, Somalia, senza contare quelli che provengono da Siria e Mali.

2La maggior parte delle persone ospiti nel campo di Hamdallaye passa per la Libia e per i centri di detenzione-lager in cui subiscono le peggiori violenze, prima di poter essere accolti in Niger grazie all’UNHCR che si occupa di offrire loro protezione, sostegno psicologico e un reinsediamento in un paese terzo (Belgio, Canada, Finlandia, Franca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia, Svizzera, regno Unito e Stati Uniti).

E così i bambini (così come gli adolescenti e gli adulti) lì possono finalmente studiare, dedicarsi ad attività ricreative, giocare, imparare una nuova lingua, conoscere la geografia, fare sport.

E da oggi potranno leggere e sfogliare libri adatti a loro, viaggiare in mondi fantastici, nuotare sott’acqua, volare oltre le nuvole.

Potranno diventare coraggiosi come Guizzino, imparare la furbizia del topolino del Gruffalò, capire le differenze e saperle apprezzare grazie al pesciolino e alla ranocchia di “Un pesce è un pesce”, imparare i colori grazie a “Piccolo blu e Piccolo giallo”, fare bizzarre magie con la Strega Rossella, dare nomi alle emozioni e a conoscere nuove parole grazie ai libri di Eric Carle.

Storie che li accompagneranno lungo questa parte del loro percorso di vita e che li aiuteranno a crescere, a capire, a imparare, a provare nuove sensazioni, a stupirsi. Tutto infatti è iniziato con questo obiettivo: dare ai bambini profughi che hanno già vissuto l’orrore della guerra la possibilità di essere di nuovo bambini, e ripartire da loro stessi e dal punto in cui si trovano, ma guardando solo avanti.

Quando ho iniziato il progetto che mi ha portato a contatto con questo mondo ero molto spaventata, mi sembrava tutto troppo forte, troppo importante, troppo ingombrante per me.

Sono partita in sordina, ho ascoltato molto, ogni mattina sistemavo bene cuffie e microfoni per cercare di carpire ogni singola parola in francese che lo psico-pedagogista nigerino Souley mi diceva per indirizzare il mio lavoro verso l’obiettivo giusto e insieme a lui ho riso tanto e, anche se da lontano e via web, attraverso le sue parole sono riuscita a sentire il profumo dell’Africa, accarezzarne il vento caldo, percepirne l’atmosfera.

3E poi, quando una o due ore dopo la riunione terminava, restavo impalata a fissare lo schermo chiedendomi semplicemente “Perché?”.

Guardavo i miei figli che litigavano per un giocattolo o rifiutavano magari del cibo perché non avevano voglia di mangiarlo, li ascoltavo parlare con gli amici degli argomenti tipici dei ragazzini, ma poi mi veniva il magone pensando a bambini della loro stessa età, a migliaia di chilometri da noi e con i piedi scalzi sulla terra rossa, mentre correvano verso il loro futuro fuggendo da bombe, mortai, mine anti-uomo, uomini che ti entrano in casa con le armi puntate addosso e ti uccidono il padre o ti portano via la sorellina.

Non ho dormito per giorni pensando a tutto questo, ed è qualcosa che non può lasciarci inermi. Il progetto di cui ho fatto parte l’abbiamo chiamato “Atelier de la Créativité” e da questo laboratorio permanente è nata la prima biblioteca costruita a mano dagli educatori dell’ONG con cui ho collaborato, INTERSOS, coadiuvati da un’altra ONG francese, Forge Arts: insieme hanno dato vita alla prima biblioteca pubblica del campo di Hamdallaye, catalogando tutti i libri che abbiamo raccolto qui in Italia e mettendoli poi a disposizione della comunità e dei piccoli profughi ospiti del campo.

Un piccolo gesto per noi che per loro ha voluto dire tantissimo. E vorrei fosse possibile mostrare i loro occhi e i loro sorrisi al mondo per far capire quanto ciò sia meraviglioso.

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